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lunedì 11 dicembre 2017

STORIE SCERVELLATE PER TEMPI DISASTRATI




 STORIE SCERVELLATE PER TEMPI DISASTRATI




“ …E quei libri che dovevi scrivere con lettere come titoli. Ha letto il suo F? Ah, si, ma preferisco Q. Certo, ma W è meraviglioso. Ah, si, W. (J. Joyce, Ulisse, p. 50)




La Signora Anastasia

Adombrata per l’attentato anarchico architettato da un’ala autonoma dell’Accademia degli anziani artisti autistici di Aosta, la Sig.ra Anastasia, di ascendenza asburgica, si arrampicò su un anacardio adulto dove albergava da anni un airone apatico che l’aristocratica allontanò con astio e, dopo aver arringato dall’alto una adunata di ascari arrapati all’uopo avvertiti anticipatamente, affittò un astrolabio ad un assonnato attore di avanspettacolo aduso agli astri che si attardava nell’atrio dell’attigua Ambasciata delle Andamane, e si avventurò sull’Atlantico abbarbicata ad un aquilone autorizzato dall’Aeronautica, con il quale attraversò asfittici arcipelaghi per atterrare avventatamente in Argentina su un alano asmatico abbruttito dall’astinenza che, abbagliato dall’ avvenenza della signora Anastasia, la azzannò ardente d’amore, ammazzandola.

La signora Bernarda

Bilanciandosi bellicosamente in bilico sul bordo della barca tipo bucintoro abbordata da beceri bagnini abusivi per fare bisboccia e brancicarla con bramosia, la signora Bernarda, brevettata buttafuori di Boncellino, abbrancava per la barba il più bellicoso tra i birboni e lo sbatteva brutalmente in mezzo ad un branco di balenotteri bruni. Basiti per la bravata burlona, i buzzurri brindavano alla bella con un beverone a base di bismuto e belladonna in barattoli con il bollino del Barolo e battevano dei bonghi con bacchette di betulla mentre Bernarda ballava la bossa nova per sbalordirli, e brandiva banalmente un binocolo con il quale beccava il baluginio nella bruma di un bimotore biposto che, al suo sbracciarsi, si abbassava e badava a sbolognarla dalla barca dei bulli balordi imbracandola in bretelle di batista blu abbottonate ad un bidone di benzina.

Il Sig. Calogero

Cullandosi comodamente sulla coltre color cremisi del copriletto nel caldo crepuscolo che calava sulla cuspide della cattedrale, il sig. Calogero, capo cuoco  alla corte del Cardinale, constatò  costernato  che contorti calli cominciavano a costellargli i calcagni e crescevano continuamente, compromettendo la sua capacità di camminare.
Congetturando che  le cospicue concrezioni cornee si collegassero a una cupa congiura della crudele cosca dei Cruciferi che, crivellati dai crampi al colon alla cena del cardinale per la cattiva cottura della crostata di cotenne di canguro da lui confezionata, avessero credibilmente corrotto il ciabattino affinché cospargesse di collaudata colla calligena il cuoio delle sue calzature, condannandolo a claudicare in cucina e a compromettere la complessa confezione del cotechino di cercopiteco concepito per la colazione cardinalizia alla Congregazione di S. Cunegonda, nella quale i catecumeni dei Cruciferi comparivano nella cerchia dei convitati, il sig. Calogero capì che la sua carriera era catastroficamente compromessa, e la cocente consapevolezza lo costrinse a calarsi dal cornicione di casa con corde di calicò, causando il collasso delle corde e il crollo del cornicione, con conseguente conflagrazione del corpo, il che consegnò il cadavere del capocuoco, il fu sig. Calogero, al catafalco, che fu cosparso compuntamente di candide calle dai Cruciferi, colpevoli non confessi di capocuochicidio.

Il sig. Diego Duranti

Quando gli sdentati doberman del duca di Domodossola addentarono un dito a un dinoccolato donnaiolo delle Dolomiti di nome Diego Duranti, dubbi dolorosi si addentrarono nei meandri dendritici della debilitata duramadre del dirigente dei dragoni di Durazzo deportati sulle Dolomiti, che, indottrinato da dotti dentisti dementi, dedusse che induriti delinquenti destinassero diaboliche dentiere adattate alle dimensioni dentarie dei doberman a danno di indifesi individui dondolanti tra i dossi dorati, per cui due distratti dragoni con doppiette furono tradotti su  una diligenza con destinazione a Dobbiaco, dove, a digiuno, diligentemente deglutirono un doppio digestivo drogato da un addestratore di doberman, il che li indusse a dormire, dimentichi del dovere di indagare sulle dubbie dentiere che indisturbate dilagarono tra i doberman sdentati di Domodossola che definitivamente distrussero dilaniandoli i donnaioli dolomitici, dei quali Diego Duranti indossava il distintivo.

Don Evaristo

Errando per un’erma elevazione erbosa del suo Eremo, elegante ed esclusivo eden d’elezione per encomiabili ed eccellenti nonché eminenti evasori di erario, Don Evaristo, ex-entomologo ed esegeta dell’Ecclesiaste, elogiato estensore di eloquenti elegie sulle esiziali esalazioni delle erculee etere ebbre di elleboro, esaminava senza esitare un esaustivo elenco di escort extracomunitarie (e non) da espellere dall’eremo  per esportarle in Eritrea, poiché si evinceva che le esuberanti etere avevano escogitato effrazioni di eventuali efebi-esca per emungimenti esagerati degli emolumenti delle sue eccellenze ed eminenze evasive. Ma Eva, escort etiope eterodossa ed eversiva, esperta di esotici ed esoterici elisir, aveva estrosamente estratto dagli elicrisi una essenza extra-esplosiva elaborandola da esemplificazioni esibite su una epigrafe egiziana esposta all’entrata dell’Eremo, ed ecco che l’elenco delle escort da estromettere dall’esercizio erotico-eremitico esplode espellendo estranei escrementi su una espressione esterrefatta di Don Evaristo.

Il Sig. Fulgenzio

Frastornato da funesti fantasmi forieri di una fine ferale, frustrato dalla fugacità della foia favorita dalle floride forme della fedifraga fantesca, fiutate fetide sue flatulenze funzionali alla frequente fruizione di frammentarie frattaglie fermentate di focena fritte a Forlimpopoli dal focoso frate Felino con funzione afrodisiaca, fantasticando altresì sulla fragilità delle future falliche fortune che dai fasti di favolose fottute sarebbero fatalmente fluite verso effimeri frulli fatiscenti e sfiatati fremiti, il signor Fulgenzio, (ex) fulvo e facoltoso fittavolo, fuggì frettolosamente dalle furtive fregole fiondandosi sul finestrone che fronteggiava una foresta di faggi frondosi e con falcata da fenicottero non conforme alle sue frolle fattezze fendette le fronde, finendo col frangersi con fracasso in finissimi frammenti nel fango del fosso fiorito di fiordalisi.

Il Sig. Gedeone

In un gelido giovedì di gennaio  il sig. Gedeone, gelataio in gilè giallo girasole, girellava in una Giardinetta GT per via Genova gemendo per i geloni alle ginocchia e giurava che avrebbe giustiziato, con una gragnuola di granate che aveva nella giberna del genitore, generale della guerra 1915-18, i gradassi gendarmi di guardia nel giardino dei gerani del già gioielliere Gerolamo, ove in una giara giaceva una gigantesca giada giunta da Gerusalemme a Gaeta in una giunca guidata da un gruppettaro di Giannutri, già giannizzero di Gerolamo.
Ma il genero del sig. Gedeone, un grassoccio gianburrasca giuggiolone che girandolava tutto il giorno al Giambellino, di nome Giustino, si era giocato le granate per pagarsi la giostra a gogo giusto quel giovedì di gennaio. Con grandi geremiadi e giaculatorie, il sig. Gedeone congiurò congiuntamente contro il giostraio e il genero e gettò un girarrosto di ghisa nei giunti della giostra su cui gioiva Giustino. I giunti gripparono e il giocherellone finì congelato sulla giostra. Già il sig. Gedeone gongolava, ma fu ghermito come don Giovanni in un gorgo geologico globale e grigliato gentilmente nei gironi della geenna dal genero giocherellone, di nome Giustino.

Il sig. Irino

Imbianchino indipendente ad Ivrea, il sig.Irino incoraggiava l’imbiancatura di infrazioni e imposture infime o immani, con inappuntabile inventiva e ingegnosità, all’insegna dell’inoppugnabile indifferenza alle insidie delle indagini di ispettori e investigatori incauti e irrispettosi dell’immunità inerente a individui pur ignobili ma intoccabili, e quindi immacolati indi integerrimi. Infastidito da insinuazioni impertinenti di incursioni inquisitive imminenti per investimenti immobiliari illeciti di incliti imputati, il sig. Irino invitava un intelligentissimo idraulico di Imola ad inventare idranti innaffianti inchiostro irritante e idiotizzante, da immettere sugli itinerari informatici degli investigatori, inseriti in icone invitanti e inaggirabili. L’idraulico inforcò un idrovolante per ispirarsi, iniziando a immaginare incastri idraulico-informatici insoliti da inviare involti in involucri immateriali non identificabili, intendendo  intascare immediatamente l’intero importo implicito nell’imbroglio, ma incappò in un inaspettato  inghippo ideativo, e invece di idranti con inchiostro idiotizzante inventò idrovore istantanee che, iniettate informaticamente nelle icone da inviare agli investigatori importuni, ingoiarono informalmente l’inavvertito idraulico. Inconsolabile, il sig. Irino si impiccò con il suo iguana all’indice imponente di un idolo Inca incontrato in un’incisione in folio.

La signora Lucilla

Lambita dalla lingua lanceolata di un leopardo in una landa lontana della Sierra Leone allorquando lavorava di lombi lascivamente allungata su un laconico lenone, la signora Lucilla lusingò con un lirico Lied di Leoncavallo i luridi leopardi allupati che si leccavano le labbra all’intorno e, illustrando la legittimità della legge di Lucullo sulla leggerezza delle lolite lubrificate e lungimiranti, si librò con lena da allenatrice di liana in liana fino alla lussuosa Lamborghini di un languido legnaiolo luminosa nella luna, e si lanciò lietamente lungo la laguna lussureggiante lumeggiata dal lirico lucore.

Marino il Marinaio

Un mesto meriggio del mese di marzo del 19…, la motonave Mimì macinava miglia nel mugolare del maestrale, quando il muggito di un micidiale mulinello montò minaccioso, mentre i marosi mutavano i motori in moncherini e le murate in miseri mozziconi, mangiandosi in un momento merci, mozzi e marinai.
Il Maelstrom! Il Maelstrom!
Macinato dal maglio del mitico Maelstrom, massacrato nella mischia di motociclette, mandolini, materassi e minibar, Marino il Marinaio mulinava e, meditando melanconico sulla morte imminente, mordicchiava una mela maturata a Manhattan, quando un molare già malato si manifestò malvagiamente, minacciando un malaugurato mal di denti che lo avrebbe molestato molto. Marino si mise di malumore. Morire in mare per un marinaio era meraviglioso, e nel Maelstrom era magnifico, ma con un molare maleodorante e marcio era mortificante!
Già malediceva la malasorte, quando ebbe memoria di un melmoso Miramare maghrebino dove un mago delle Maldive con Master al MIT misurava una miscela per il mal di denti, misturando mammelle di marmotte, marmellata di mitili e mignoli di manguste con miele millefiori. Nel mezzo del martirio maelstromico, il mal di denti era moltiplicato, ma Marino maneggiava per mettere le mani sulle materie prime della mistura magica: nel Maelstrom moltitudini di masse si mescolano!
E immantinente, dalla manica del mantello di un mercante di Mosul, mammella di marmotta, marmellata di mitili e mignoli di mangusta con miele millefiori misteriosamente miscelati al milligrammo si ammainarono sul molare malato di Marino e lo ammansirono immediatamente.
Sommerso nell’imo, Marino il Marinaio mormorava maldestramente una marcetta militare a mò di messa per i morti in mare, quando un massiccio maremoto in un momento lo mandò come un missile dentro il mastello di mutande a mollo di una massaia di Malmo che lo fece multare per maleducazione.

Nada

Niente nuoce a Nada più della nebbia di novembre a Napoli, la nebbia che nega l’altresì netta nomenclatura della natura naturata, annacqua il nitore dei nerbi dei nespoli che innervano lo snodo del nastro della Nazionale e nasconde i nidi dove si rannicchiano le nottole, nane nottambule. Nirvana, nostalgia del naufragio nel nulla del nirvana come necessario nadir, nettare e narcotico. Noncurante dei neri nembi nevosi su Napoli, Nada nuota nella nebbia e nella notte per rinascere nuova su un nuraghe di Nettuno, e annegando nota una nave nichelata il cui nostromo ha noleggiato un narvalo coperto di novanta nacchere per le sue nozze con una Nereide di Naxos.


Il Conte Oddone

Offeso nel suo onore di ospite ossequiato e ormai ostaggio dell’ossessivo e obeso oste Oronzo, che si ostinava a offrirgli a ogni ora obsolete ostriche di Ognissanti con oloturie in olio di opossum, il Conte Oddone di Otranto ordiva, con otto odalische oriunde dell’Oman, l’omicidio dell’odiato oppressore.
Avendo l’orto dell’osteria un oblungo orifizio orientato a ovest ove un oratore orbo, osannato a Ostuni come oracolo di Osiride e ostile a Oronzo, aveva occultato un obice di origine ottomana, ottemperando all’obbligo originato da una oscura omelia ostrogota, l’opzione più opportuna sembrò l’olocausto di una odalisca ottuagenaria con funzione di otturatore dell’obice per ottundere con offensiva ed omerica omelette alle ostriche l’oste Oronzo nella sua ora di relax nell’orto.
L’omelette olezzante sull’omero indusse in Oronzo un orgasmo obnubilante che lo obliterò dall’orbe con un osanna.

La Signora Pompea

Perseguitata dal pensiero di non essere prescelta tra proliferanti plotoni di professori precari alle Professionali di Pozzallo, la previdente sig.ra Pompea pensò di pagarsi un passaggio su di un piroscafo preventivamente prenotato a Pasqua e puntare su un posto permanente in Polinesia.
In partenza, percorrendo la piazza prospiciente il porto appesantita dai pacchi, poneva un piede, particolarmente piatto, su una proditoria pelle di pollo, il che la proiettava come una palla di piombo su una piramide di pattume e percolato provvisoriamente parcheggiata nei paraggi del promontorio di Capo Passero e la faceva precipitare dal pizzo del picco, planandola però su di un pellicano che praticava come pesista nella palestra principale di Palermo che la posava con precauzione su una pretenziosa paranza perfezionata per la pesca dei prelibati pesci pinnati del Paraguay, purtroppo senza prenotazione, procurando panico protratto tra i pescatori plurilingui che, paventando pratiche perverse di pirateria, pensarono di punirla pretendendo da lei la pelatura di patate a perpetuità lungo il periplo del pianeta. La signora Pompea puntigliosamente puntualizzava che avrebbe preferito preparare perennemente purea di piselli, al che i pescatori, premurosamente preoccupati per la penuria di piselli nelle provviste della paranza, le prestavano un pallone aerostatico con propellente pirotecnico e paniere a due posti, con il quale la signora Pompea si pilotò con perizia sul Pacifico, proponendosi come partner ad un paracadutista di passaggio portato dalla pioggia, con il quale, alle pendici del Pinatubo, promosse una piantagione di papaie e produsse prolifica progenie.

Il Sig. Quirino

Quando il questore di Quintavalle querelò un querulo chimico del Quebec che chiedeva di squalificare le quote di quattro quaccheri squattrinati per la questua della Quaresima, equivocando su quisquilie, il sig. Quirino, questurino, disquisì sulla questione chiarendo che le quote dovevano essere riqualificate qualitativamente e non quantitativamente, ed equiparate con equanimità all’equivalenza derivata dagli inquadramenti che quantificavano le quotizzazioni  più eque già archiviate al catasto del quartiere, e con ciò citava i quaderni del Qumran che gli inquirenti dei quattro quaccheri avrebbero potuto requisire per chiarimenti. Ma le inique querimonie del chimico misero a soqquadro il quartiere dei quaccheri che squalificarono la querela del questore e inviarono squadracce di scudieri a scudisciare il querulo chimico. Il sig. Quirino, anticipando i quarti di finale dei quiz del quartiere dei quaccheri, reinquadrò le squadracce con quarantenni squinternati che inquinarono con quintali di chinino i quadrelli (in brodo) del chimico che si liquefece in quarantamila miliardi di quark, e chiuse così il contenzioso sulla questione delle quote della questua della Quaresima contestate per la quantità quotizzata dai quattro quaccheri squattrinati.

Il sig. Rodrigo

Irridendo le rodate regole della ragione, il sig. Rodrigo, randagio reduce dalla remota Rondonia, rubava rapidamente una raffazzonata Rolls-Royce rossa dalla rimessa di un rigattiere di Rovigo  rassegnato alla rovina,  che russava riverso su un rigagnolo rubicondo di Rubesco e, ringalluzzito dalla riuscita della raffinata refurtiva, rimuginando rarefatti ricordi di rudi rodomontate, raggiungeva a razzo la rada di S. Rotondo sulla cui riva era riparato un rimorchiatore a remi, recentemente riscattato ai Ruteni e rifugio romantico di un rapato ragioniere che vi ruminava le sue rime reumatiche, e lo ridusse in rottami con la rossa Rolls-Royce  che vi irruppe rombando.

Il sig. Sisto

Sollevando con solerte sussulto le sue snelle spoglie, un sudato sig. Sisto si assestò  con sussiego il sontuoso sudario che soleva indossare scatenando scalmanate sarabande il sabato sera, scartando con sufficienza il solito sudario di seta sintetica, che stizzito e seccato dello sgarbo, con sinistro sibilo si sollevò subitaneo sul dissestato sepolcro, sottraendosi con scarti serpentini alle sciabordate del sig. Sisto, le cui ancor sode spoglie subirono l’assalto di uno scervellato stupratore assatanato di sesso con trapassati che sostava con sozzi suoi simili sulla salita del sacrario, mentre il suddetto sudario sintetico, sollecitato nei sensi dalla scena, assumendo subdole sembianze di sudario da sera, si insinuava sculettando di seduzione nella soffitta di uno svampito scienziato di Scientology che si stava stropicciando la schiena sorretto da scombinate stampelle e finì per soccombere sopraffatto dalla scura sagoma del sensuale sudario da sera, subendo subitanea sincope che lo sotterrò il sabato seguente nel secondo sepolcro a sinistra del sig. Sisto.

Il Sig.Traù

Travolto da un tram truculento in un tragico tramonto teratologico, il sig. Traù si ritrovò triste e traumatizzato a trotterellare dietro a un trolley traballante su cui troneggiava una truccatissima troia, i cui tratti tradivano un tedio tardivo. Tuttavia, attratto attraverso tetri tratturi da una turpe torre turca, trafugata a temporanei tartari dal trisavolo, ivi tracollò traumatizzato e tremante per intraprendere la traduzione dal turcomanno di una trita tiritera che trattava di torti e tormenti inflitti dai traditori dei turchi al torturato trisnonno.  Trascorsi tre turni di traduzione, il sig. Traù terminò teoricamente il suo iter terreno tormentato da trilioni di tordi tripudianti sulle travi della torre turca, mentre traduceva la trita tiritera turandosi i timpani trapanati dai trilli dei terribili tordi.

Il Dottor Ugo

Ustionato dall’ugello di un Ufo ultrapiatto proveniente da Urano e soccorso da un umile usciere dell’Ufficio Universale per le urgenze ultraterrene promosso dagli Ussari d’Ungheria ubicato a Urzulei che, usando un unguento urticante, lo ustionò ulteriormente, il Dott. Ugo, umbratile urologo di Urbino, urlò urbanamente la sua uggia e uccise l’usciere utilizzando un usbergo uncinato usato usualmente dagli Unni.

La sig.ra Viviana

Un vento vorticoso vivacizzato da volatili avvolgeva la vivida vampa del volto vindice della signora Viviana, avvenente e voluminosa valdese, avvinta a un viluppo di vipere svenate, il cui veleno versava con vigore in una variopinta vasca nella quale verbose vallette dalla voce volgare versavano violentemente voluminosi vocabolari svillaneggiando un villoso e viscido vegliardo, invischiato in vigliacchi vizi vivificati dal Viagra, che aveva vilipeso la verità col vuoto vanto delle sue voluttuose vicende. Il veleno, tra volute di vapore violetto, svelò velocemente nel vegliardo il vampiro che vi vegetava. Vinto il vampiro avvalendosi delle verbose vallette, la vittoriosa Viviana si avviava in velocipede nel vespro che vellutava i viburni, senza avvedersi di un avvinazzato vichingo non-vedente avvisato di divieto di viabilità su un viadotto da una vigilessa virile che vergava il verbale. Viviana investiva veridicamente vichingo e vigilessa, inverando il verdetto in vernacolo del venerabile vate Venanzio Volturno, che le aveva vaticinato l’avvento di una vendetta vertente sui vezzi violati di una Valchiria da parte di un suo vorace avo vissuto a Verona.

La zoccola Zerlina

Zigzagando per sollazzo con la sua zattera zincata tra le zanzare del fiume Zambesi, Zerlina, una zoccola di Zurigo azzimata in una zimarra color zaffiro con alamari di zircone, imbracciava la sua Zenit e zoomava su uno zoologo zuzzurellone e un po’ zuccone, Zacaria, che si azzuffava con una zebra della zona munita di zanne e zeppa di zecche, destinata a uno zoo di Zanzibar.
Zufolando, Zerlina attirava l’attenzione di Zacaria, nel cui cazzo, sotto propizia influenza zodiacale e zoroastrale, si risvegliava un certo uzzolo. Azzerato con una zampata il potenziale zotico della zebra, lo zoologo la zaffava in un capace zaino e confezionava zelante su uno zerbino di zebù uno zuccotto di zenzero, zafferano e zucchero zigrinato al fine di ingraziarsi il ghiribizzo di Zerlina. L’azzimata zoccola infatti zompava zampettando dalla zattera sulle zolle della Zambesia, ma gli zampilli e le zacchere le inzupparono la zimarra azzurrina regalatale dallo Zar.
Incazzata, Zerlina azzannava lo zuccotto ma brandiva la sua Zenit come zappa e, zacchete, azzoppava lo zoologo Zacaria e lo zippava con Winzip.












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